venerdì 25 luglio 2008
Davide, l'androgino rebis
Golia, l'archetipo dell'intelletto egopatico
Jung riteneva che l'attivazione di un archetipo producesse risultati patologici solo se l'individuo si rifiutava di cooperare con esso, elaborandolo ed amplificandolo, cioè se si rifiutava di stabilire una relazione consapevole con le immagini e i miti che esso evocava, cercando un significato valido per sé. Se invece egli collaborava con l'elaborazione dell'archetipo, questo poteva fornire una guida efficacie, benefica e significativa per la sua vita.
Jung considerava gli archetipi come una specie di "istinto mentale primitivo", il quale come tutti gli altri istinti o bisogni, se seguito può dare soddisfazione, se negato può generare nevrosi. La dimensione archetipale generalmente rimane contenuta nella sfera onirica. E' sempre presente latente in tutti i sogni, anche i più strani, ma diventa espressiva se amplificata da stati di tensione e di introversione psichica.
Nell'alchimia orientale lo stato di introversione dell'energia fisica, psichica e mentale stimolato dall'immobilità corporea assunta nelle posizioni dello yoga, provoca l'annullamento del dualismo ego/anima e il risveglio dell'istinto mentale primordiale, il serpente kundalini che giace "addormentato" alla base della colonna vertebrale. Mentre le pratiche dello yoga (alchimia dell'anima) possono stimolare la sàkti, l'energia luminosa della Kundalini risvegliata (Ermete), la pratica del Tantra (Arte Alchemica o Alchimia della coscienza), quotidianamente praticata dall'artista durante le fasi di introversione creativa dell'energia sessuale, si traduce in un effettivo "viaggio di conoscenza" della verità umana attraverso gli archetipi.
L'Odissea di Omero rappresenta il modello classico dell'Arte di evolvere in coscienza amplificando la comprensione degli archetipi per mezzo di immagini oniriche, mitologiche o visioni iperconscie. Odisseo è Nessuno, metafora di una precisa volontà di annullare l'azione per privilegiare la percezione, di zittire il pensiero in favore dell'intuizione e di azzerare ogni forma di speculazione verbale al fine di seguire il filo della contemplazione (Penelope) intesa come arte di "elaborazione consapevole degli archetipi".
Caravaggio segue istintivamente il "filo della conoscenza" attraverso un istintivo dispiegamento di archetipi che, come per per magia e inspiegabile sincronicità, si impongono alla sua attenzione, spesso suggeriti dai committenti stessi o trasmessi sottilmente dai "mistici" con i quali viene in contatto. L'artista non li cerca. Come avviene per i sogni, le immagini si impongono alla coscienza attraverso le dinamiche del Sè istintuale. Diversamente da Leonardo, che utilizza una tecnica razionale di visualizzazione, elaborazione e creazione delle immagini mitologiche, Caravaggio non fa che raccogliere lungo il cammino i segni della sua trasformazione interiore.
Osserva le proprie opere, le confronta con quelle degli altri artisti, contempla di essere cambiato negli anni, di aver raggiunto una diversa maturazione della percezione simbolica (l'ermafrodito), dell'intuizione translogica (l'androgino) e della conoscenza di sé (Davide) e della natura umana dominata dal 'potere territoriale' generato dalla "libido mentale" (Golia). Nel 1598 realizza una prima versione di Davide e Golia.
Davide, l'archetipo dell'intelletto dell'anima
Davide colpisce Golia nel centro della fronte e poi lo soffoca con un laccio, metafora di una precisa tecnica di annullamento dell'ego intellettuale. Le parole di Jung interpretano il gesto caravaggesco in chiave moderna : "Comprendiamo veramente ciò che pensiamo? In realtà, siamo capaci di comprendere solamente il pensiero riducibile a una equazione, da cui non esce altro che quello che ci abbiamo messo dentro. Così funziona l'intelletto." Caravaggio dipinge i simboli della morte dell'intelletto compreso tra due parentesi tonde, quadre o graffe che siano. La mano di Golia mostra il sigillo (mudra) dell'annichilimento della razionalità attuato attraverso l'introversione della pulsione psichica creativa (l'indice ritorto vero il pollice) e segna sul fondo del dipinto la cifra III e il numero 8, a indicare che l'istinto mentale primordiale (III) ha generato una forza tale da influenzare il senso essenziale dell'esistenza.
L'archetipo produce energia e la sua contemplazione risveglia l'istinto di pensare prima con la "nuca" e poi con i due emisferi superiori. Solo così l'artista può dare inizio all'Opera al Nero, a un processo consapevole di liberazione dall'ego e dalla libido mentale che lo sostiene. Jung prosegue:
"Ma al di là di questo, esiste un modo di pensare per immagini primordiali (la nuca, il cervelletto, sede dei samskara primordiali), per simboli che sono più antichi dell'uomo storico; che dai tempi più remoti sono stati radicati in lui, che vivendo in eterno, al di là delle generazioni, costituiscono le fondamenta della psiche umana. E' possibile vivere una vita piena solamente essendo in armonia con questi simboli; saggezza significa tornare ad essi. Non si tratta né di credere , né di conoscere, m a di fare in modo che il nostro pensiero sia in accordo con le immagini primordiali dell'inconscio." (L'uomo moderno alla ricerca dell'anima, 1936).
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